Le elezioni più attese, quelle del 23 Febbraio 2025 in Germania, sono trascorse in un battibaleno. Non se ne parla più. Come mai? Eppure avrebbero dovuto segnare, a detta di tutti, una pietra miliare in Europa. Dopo due anni di recessione, la ex locomotiva d’Europa va alle elezioni anticipate, nel mezzo di una guerra che non è combattuta ma subita. Immigrazione squilibrata e integrazione impossibile, attentato al gasdotto Nord Stream 1, impennata dei costi energetici, sostegno economico e militare alla Ucraina, squilibri della bilancia dei pagamenti, forzate transizioni di mercato imposte dalla EU, crisi dei settori di rilievo come quello dell’automotive, pandemie, hanno generato forti tensioni e disagi di carattere socio economico con ovvie ricadute politiche. 35 anni fa, quando il 6 novembre 1989 cadde il muro di Berlino, sembrava che la Germania riunificata fosse destinata ad un luminoso avvenire.
Era la fine della ideologia del comunismo ottocentesco, la fine della guerra fredda, la vittoria dell’Occidente e del suo modello di vita. Era l’inizio di una nuova era. Ci si rese conto, invece, che i problemi non erano finiti; anzi, altri più infidi emergevano. In fin dei conti non era che l’Occidente aveva vinto; era l’URSS che era implosa. In Germania, dal momento della riunione nazionale (1990), la partecipazione popolare alle urne non è stata mai inferiore al 75%, eccetto che nel 2009 (quando si registrò il 70,8% d’affluenza alle urne) e nel 2013 (con il 71,5%). Si era nel pieno dell’era Merkel, con i suoi governi, il 2° e il 3°. In Germania, la diminuzione della affluenza elettorale doveva essere una spia di cui tener conto.
Le elezioni del 2025 hanno registrato, invece, una affluenza dell’80%, la più alta in 35 anni, a dimostrazione che i tedeschi, quando sono scontenti, vanno in massa a votare; in Italia, gli elettori disertano le urne. Quali sono i partiti big dello scenario politico tedesco? Sono UDC/USD (cristiano democratici conservatori) e SPD (social democratici). La Destra e la Sinistra tedesche, per fare un paragone con i nostri costumi. Vediamo, però, cosa sia successo fra il 1990 (anno della riunificazione) e il 2025, in merito ai consensi di questi due partiti che, alternativamente, hanno guidato i governi. Lo facciamo riferendoci ai seggi parlamentari, quelli che fanno la politica, piuttosto che alle percentuali. Si nota subito, dalla figura, che i due partiti CDU/CSU e SPD, in 35 anni, pur nella alternanza delle posizioni, hanno perduto, insieme, ben 222 seggi che sono pari a circa 12,7 mln di voti.
Un patito della statistica potrebbe evidenziare una perdita secca di oltre 6 seggi all’anno. Dal punto di vista politico, significa certificare una incapacità strutturale, prima latente e poi persistente, di innovare la propria proposta politica. Questa decadenza non accenna a fermarsi: infatti, l’approccio comportamentale dei due partiti, che non ha niente a che vedere con un “indirizzo politico prospettico di una Europa unita”, non è cambiato. Infatti, il punto più basso del consenso, prima di queste elezioni, si è registrato nel 2009, nel pieno dell’era Merkel: il consolidarsi di un asse privilegiato franco tedesco, di dominio continentale, confliggeva con l’ideale di una “Europa dei Popoli”.
La congiuntura economica favorevole ha propiziato, per un breve intervallo (2013), una ripresa, seppur contenuta, dei due partiti ma si è rivelata il canto del cigno. Sembra, così, che il vero problema dei governi di centro sinistra che si sono succeduti dal 1998, dopo Kohl e con Schroeder, sia stata l’inclinazione a introdurre politiche sociali squilibrate, comunque restrittive verso la economia reale che è, noto a tutti, il vero motore della crescita economica e dello sviluppo sociale. Infatti, è cominciata la discesa del consenso e, a fronte di questa progressiva contrazione, sono emersi, dopo i movimenti ambientalisti (Verdi, 1994), quelli agli estremi: Linke e AfD, in rappresentanza di energie più dinamiche e perciò insofferenti, trainate dalle nuove generazioni. L’era della Merkel (2005 – 2021) ha segnato il progressivo avanzare di un sempre più insopportabile disagio popolare.
La sequenza dei colori politici dei governi tedeschi sembra confermare quanto fin qui sostenuto. I 16 anni di Kohl sono stati importanti per la Germania. Il suo governo, di timbro liberale, ha saputo trainare il Paese nel difficile contesto di una riunificazione tanto attesa ma che ha creato non pochi problemi per la necessità di riallineare le due Germanie. Il processo d’integrazione è stato considerato troppo lento dagli elettori dell’Est che avrebbero voluto, dopo lunghi anni di depressione, una rinascita più vigorosa. Ciò ha portato ad una esplosione di consenso verso la Sinistra (SPD) che ha raggiunto il suo massimo storico nel 1998 trainando, negli anni successivi, anche i Verdi. Il governo Schroeder (1998) documenta il massimo “spostamento a sinistra”. Poi, però, è cominciata la discesa fino al minimo del 2009. Come mai?
Sembra che lo scarso equilibrio delle “politiche sociali” di Schroeder, da un lato, abbia aumentato la spesa sociale; dall’altro, dimenticando la “economia reale”, abbia innescato una preoccupante crisi economica e occupazionale. Allora, Schroeder è corso ai ripari attuando una “politica di destra”; cioè tagliando le tasse alle imprese e riducendo la indennità di disoccupazione. In sintesi, la Sinistra ha dimenticato il suo elettorato storico, la classe operaia, per rivolgersi alla media borghesia. La economia risale ma il mondo “di sinistra” è in subbuglio. È il primo spostamento dell’asse politico a destra. Ma SPD rimane pur sempre il partito storico, il più antico, e non se ne può fare a meno. La Merkel gestisce questa transizione ma annusa il cambiamento. Dopo il suo primo governo di centro sinistra, tenta una breve parentesi di centro destra, con i liberali di FDP che, in verità, non le danno una mano risolutiva. Anzi, è una debacle per i liberali che, nel 2013, non entrano in Parlamento ma, addirittura, propiziano la rinascita temporanea di SPD. Merkel è costretta a tornare alla formula centro sinistra. Questo matrimonio le è stato fatale.
La politica della immigrazione è stata la sua “Caporetto”. L’effetto? Il disagio sociale aumenta a dismisura quando anche il “fattore economia” comincia a venir meno. Si decide a dare le dimissioni: il fiuto le dice che il suo tempo è finito e, quando perde malamente le elezioni territoriali, capisce che le posizioni sono irrecuperabili. L’asse della politica si sposta ancora più a destra. Nel 2021, il partito di Merkel (CDU/SCU) è ai minimi storici; i liberali, che erano all’opposizione, godono di buona salute ma non riescono, stranamente, ad intercettare il malcontento; l’elettorato, nonostante circoli un diffuso sentimento di destra che però è considerato pericoloso, si rifugiano a sinistra premiando SPD (che vive una seconda giovinezza) e Verdi (che registrano il massimo storico). Intanto gli estremi (Linke e FdP) registrano il minimo storico. L’elettorato vuole un governo stabile di centro. Insieme, però, SPD e Verdi hanno una maggioranza risicata. Scholz riesce a coniugare il centro sinistra con i liberali e costruisce un governo a tre (il primo in Germania) dove SPD + Verdi, a sinistra, si alleano con FPD (liberali). Non c’è altra strada ma il matrimonio è certamente funesto. Non è ben chiaro cosa abbia spinto i liberali tedeschi ad allearsi con la sinistra: le due visioni politiche non possono convivere.
I due temi fondamentali, quelli che le dividono, sono l’economia e il ruolo dello Stato: entrambi totalmente divergenti. Con le sconfitte nei lander, i liberali hanno capito che gli elettori li avevano abbandonati. Per ridurre il danno, hanno fatto cadere il governo, quasi in un ultimo atto di disperazione per salvare il salvabile. Ma sono morti il 23 febbraio 2025: nessun rappresentante in Parlamento. Tutti i 92 parlamentari perduti! Che caso strano quello dei liberali. In Francia, Macron è in difficoltà. Come referente di Renew Europe, l’agglomerato del liberali europei, ha perduto smalto. In Inghilterra i liberali non hanno vita migliore. In Italia, ormai, appaiono velleitari. Sembra questo il vero problema europeo: la scomparsa dei liberali, se sono mai esistiti, come partito al di fuori dell’ambio di studi filosofici e di pensiero. Infatti, come partito, i liberali non hanno mai raggiunto posizioni apprezzabili, rimanendo relegati, al massimo, nell’intorno del 7%. Questo allearsi, ora a destra ora a sinistra, sostenendo alternativamente quelle posizioni, a seconda dei Paesi e dei contesti, senza peraltro offrire una propria proposta politica identificabile, ha reso sempre difficile la trasmissione all’elettore di una identità liberale. Identità che si è sempre nascosta dietro la comune e diffusa idea di Libertà che non può essere disdegnata da chicchessia. Fin quando l’elettore non capirà le differenze politiche, concrete e operative, che intercorrono fra la “idealità liberale” e il “resto del mondo”, i liberali rimarranno nel limbo della inconsistenza.