Trump: detto, fatto

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Ecco, è successo; e l’Europa e il mondo cascano dal pero. Eppure, Trump lo aveva annunciato nella sua discussa campagna elettorale, fortemente osteggiata, in particolare, dalla Europa.

Nella notte europea, il Presidente USA ha annunciato formalmente i suoi dazi.

Si è scatenato un coro unanime: “Trump è pazzo. I dazi non fanno bene a nessuno, né a chi li impone, né a chi li subisce. Dopo 80 anni di stabilità, ecco che si scombussola l’ordine commerciale, mondiale e multilaterale. La Democrazia è morta. Trump sta smantellando il geniale reticolo di alleanze civili e militari internazionali con cui gli USA hanno guidato il mondo. E’ nata la Internazionale Illiberale. Vendetta. Rappresaglia. Bisogna rispondere uniti”.

Purtroppo l’Europa ha il vizietto di farsi trovare sempre impreparata, svanita nella sua asfissiante burocrazia e persa nei suoi programmi di transizione. Così, lasciamo le esternazioni di cui sopra, che lasciano intravedere un vuoto di pensiero economico, al teatrino del gossip mediatico. Dedichiamoci, invece, a valutare qualche dato concreto nella consapevolezza che i dazi non c’entrano nulla con la Democrazia o con la pazzia.

Ebbene, ecco i dati. Gli Stati Uniti hanno registrato consistenti deficit commerciali, addirittura da mezzo secolo, sin dal 1976; la bilancia commerciale USA, per il solo anno 2024, ha registrato un disavanzo di $ 926 mld; il disavanzo accumulato registra ben $ 1,13 trilioni (miliardi di miliardi); il Debito Pubblico, al 31 dicembre 2024, è pari a $ 36.200 mld a fronte di un PIL pari a $ 26.774 mld.

Cifre da capogiro. Ma non è finita: le proiezioni sono disastrose perché espongono percentuali incrementali a doppia cifra. Se questa è la questione, allora è necessario intervenire. Ciò mostra che la “questione Trump” è solo una questione economica.

Gli USA importano più di quello che esportano: essere il mercato di sbocco di tante economie del mondo significa che la ricchezza USA va all’estero; la produzione interna si depaupera e soffre; il Debito Pubblico cresce.

A questo tema di ordine economico e di mercato, si aggiunge quello para-etico: fare il poliziotto del mondo è costoso.

Ecco, allora, cosa dice Trump, nella sostanza: “Volete il mercato USA? Pagate dazio”; “Volete che gli USA facciano il poliziotto del mondo? Partecipate alle spese”. Non c’è dubbio che, per una azienda europea, tedesca, cinese etc, sottrarre un grande mercato di sbocco per i propri prodotti significa dover rivedere drasticamente strategie di mercato e piani di produzione; significa ristrutturare profondamente gli assetti organizzativi; significa riconsiderare collocazione e dimensioni delle maestranze. Per gli Stati, significa riprogettare le politiche economiche e i piani industriali.

Insomma una rivoluzione epocale; ma il tsunami era chiaramente prevedibile.  Se viene a mancare un grande mercato di sbocco, appare difficile trovarne, nell’immediato, un altro altrettanto grande e profittevole. Rimane, allora, l’opzione di rilanciare il mercato interno; ma qui sarebbe necessario mettere i cittadini in condizione di comprare.  Il che significherebbe porre mano ad una sapiente politica economica interna di equa distribuzione della ricchezza. Non sarebbe male perché vorrebbe dire che la globalizzazione, sostenuta dalla economia finanziaria, comincia a cedere il passo alla geopolitica, sostenuta dalla economia reale. La facile previsione di “recessione” sarebbe l’effetto dello sgonfiarsi di bolle economico finanziarie artificiali di cui è disseminato l’attuale scenario.

Molte teorie economiche affermano che i dazi siano “sempre” illiberali e rappresentano un danno per chi li impone e per chi li subisce. Ma questo vale quando sono permanenti.  Se fossero visti come assestamenti, dinamici e congiunturali, per ripristinare equilibri perduti, allora potrebbero essere utili. Dopo questa premessa, interpretiamo la “teoria Trump”.

Trump ha assimilato i Dazi all’IVA. Entrambi sono misure che rimpinguano le casse dello Stato. Ma, mentre i dazi sono costi aggiuntivi per i fornitori esteri; l’IVA è un costo a carico del consumatore domestico. Tuttavia, oltre a rimpinguare le casse statali, Dazi e IVA hanno l’effetto di maggiorare il prezzo finale del bene.

Può succedere che il “prezzo di listino” di fabbrica di un bene, in Italia, sia maggiorato di un 22%, per l’IVA; mentre lo stesso bene, negli USA, abbia un prezzo inferiore perché lì l’IVA è più bassa. Quindi una azienda italiana sarebbe più competitiva negli USA che in Italia. Una azienda USA sarebbe, invece, penalizzata quando vende in Italia. E’ su questa logica che è basata la tabella mostrata da Trump, la sera del 2 aprile, della quale qui pubblichiamo uno stralcio.

Guardiamo come si dovrebbe leggere la tabella trumpiana. Preso un Paese a caso, ad esempio, il Giappone, la colonna in blu, “tariff charged to the USA”, mostra di quanto sia maggiorato, in quel Paese, il “prezzo di listino” di fabbrica dei beni americani importati (46%). Gli USA, per riequilibrare l’import/export “reciproco” applicheranno i dazi esposti nella colonna gialla (24%). È applicato, così, il criterio di “reciprocità”; ecco perché la tabella è denominata “Reciprocal Tariffs”.

Non c’è dubbio, come già scritto, che questo “sistema di reciprocità” debba essere dinamico. “Il sistema di reciprocità” ha l’obiettivo di favorire la offerta interna e, quindi, stimolare la produzione interna. Gli USA, così, importerebbero: contenimento dei costi e attenuazione del Debito.

Su questa linea, fra l’altro, va la richiesta USA, alla Europa, di provvedere da sé alla propria difesa e di aumentare il contributo EU alla Nato; e ora i Dazi.

Ma l’Europa ha fatto per tanto tempo “orecchio da mercante”. E, ora, reagisce, con una narrazione da guerra. Infatti, la “intellighenzia”, la politica, gli imprenditori, le Borse si strappano, disperati, le vesti. Persino i media “opinionisti” raccontano tragedie woke declamando “la democrazia muore in pieno giorno …”.

C’è da chiedersi, quando si sveglieranno tutti questi signori per dar vita ad una politica socio economica all’altezza dei tempi? Quando si sveglieranno per promuovere una effettiva e non virtuale Unione Europea? Quando, per una sinergica e integrata politica estera? Purtroppo, tutto fa credere che non basta un caffè: è necessario un drastico “change la dame”. Siamo troppo conflittuali per sperare in una qualche integrazione e sinergia.

Antonio Vox

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